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MICROFONAZIONE INTONATA (la fase non è un problema)

Gabriele Ponticiello © 2015

In qualità di audio engineers che operano nel campo della registrazione di musica, potreste scegliere di usare due o più microfoni al fine di generare opzioni timbriche complementari per una sorgente, oppure ancora potreste voler riprendere una porzione specifica del suono della sorgente per ottenere una migliore messa a fuoco su di essa. Quando eventualmente decidete di sommare le tracce multiple in un bus o un intero mix, state esponendo il suono combinato al rischio del cosiddetto “filtro a pettine” dovuto a fase incorretta. Ciò significa che il suono potrebbe soffrire di una mancanza di basse frequenze, o diventare inscatolato o “telefonico”, decisamente strano. Questo effetto non si avverte se mixate le tracce in posizioni differenti all’interno dell’immagine stereo perché in quel modo i segnali sono solo parzialmente (oppure affatto) sommati ma non appena il materiale viene ascoltato in mono il problema diventa rilevante. Che succede? Perché il suono cambia? Beh… non sempre la somma di segnali da un risultato positivo: può anche dare un risultato negativo. Ad essere perfettamente esatti: un risultato nullo. Le onde sonore hanno picchi massimi e minimi di pressione: se una data onda sonora arriva ad un secondo microfono con un ritardo tale per cui un massimo corrisponde ad un minimo rilevato dal primo microfono, il risultato netto è zero. E’ una pratica comune posizionare i microfoni molto vicini tra loro in modo da minimizzare il ritardo. Oppure si può seguire la regola del tre-a-uno: posizionare il secondo microfono ad una distanza almeno tripla della distanza tra sorgente e primo microfono. E’ una questione di tempo? Beh… Si. E no. Non solo di tempo…

Quando si tratta di fase, è utile essere consapevoli di alcuni fatti che riguardano la natura fisica del suono e di alcuni altri fatti che riguardano il modo in cui funzionano i microfoni. Personalmente non ne ero pienamente consapevole fino a quando nella pratica mi sono trovato di fronte a problemi di fase ed ho voluto comprenderli per trattarli in maniera appropriata. Devo ammettere che non è stato facile mettere insieme le informazioni e arrivare al punto in cui mi trovo ora. Ho scoperto che questi fatti sono in qualche modo nascosti all’interno della letteratura dedicata. Alcuni di loro sono descritti con scarsa accuratezza, oppure presentati male; sembra che alcuni di essi siano sconosciuti. Ciò che segue è il risultato di una personale ricerca sia teorica sia pratica sull’uso di due o più microfoni. Ho pensato che fosse una buona idea condividerlo.

Il primo fatto di cui essere consapevoli è estremamente importante: la fase dipende dalla frequenza. Non si verifica qualcosa come un generale problema di fase pertinente ad una combinazione di segnali. Per una data combinazione, un problema di fase sempre si verifica ad una frequenza specifica. Siate sospettosi se qualcuno parla di un problema di fase senza collegarlo ad almeno una frequenza. Come detto in precedenza, le onde sonore hanno picchi massimi e minimi di pressione: lo spazio fisico (la distanza) tra detti picchi ha dimensioni diverse per ciascuna frequenza perché ciascuna frequenza ha una propria lunghezza d’onda. Nell’esempio precedente, quando un massimo al secondo microfono corrisponde ad un minimo al primo microfono, il risultato è la cancellazione di una frequenza. Ma… c’è anche un’altra lunghezza d’onda, cioè un’altra frequenza, della quale entrambi i microfoni rilevano un picco massimo (o minimo). In quel caso due positivi (o negativi) sono sommati ed il risultato è un aumento del volume di una frequenza. La relazione tra le due frequenze coinvolte è aritmetica e può essere conosciuta con precisione.

Questo è un aspetto molto importante di cui essere a conoscenza: la fase è sempre un rischio e contemporaneamente un’opportunità per definire una timbrica, usando i vostri strumenti di registrazione più importanti: i microfoni. Una frequenza è cancellata mentre una frequenza è esaltata.

C’è un secondo fatto molto importante di cui dovete essere a conoscenza: i microfoni non traducono la pressione sonora nello stesso modo. No, non intendo le diverse risposte in frequenza. D’accordo, forse lo sapete già ma siete sicuri di conoscere tutta la storia fino alla fine?

Le tipologie di trasduzione ampiamente utilizzate ai giorni nostri sono a condensatore, a bobina mobile e a nastro. In un microfono a condensatore l’elemento trasduttore chiamato capsula consiste di un anello di supporto a cui sono attaccati un foglio circolare estremamente sottile e posto in tensione, di materiale plastico rivestito di metallo, chiamato diaframma, e di una piastra metallica più spessa e fissa, perforata, posizionata posteriormente rispetto al diaframma (rispetto verso della pressione sonora cui è esposto il diaframma). I due elementi, diaframma e piastra posteriore, sono separati da una camera d’aria e vengono polarizzati da una carica elettrica fornita, effettivamente a costituire le due armature di un condensatore. Il sottile diaframma coinvolto nella periodica variazione di pressione sonora associata ad un’onda sonora, vibra insieme ad essa. Con pressione positiva, il diaframma è spinto verso la piastra posteriore, la distanza tra i due diminuisce e così la capacità del sistema viene variata. In maniera opposta, il diaframma è “tirato” dalla pressione negativa, la distanza dalla piastra posteriore aumenta e la capacità del sistema varia nel verso opposto. Tale oscillazione della capacità è usata elettricamente per generare la variazione di tensione all’uscita del microfono. Notate bene che l’ampiezza del segnale in uscita è maggiore quando il diaframma è nella posizione di massima o minima distanza dalla piastra posteriore. Pertanto in un microfono a condensatore il livello del segnale è direttamente proporzionale alla pressione dell’aria: a maggiore pressione (o depressione) corrisponde maggiore segnale.

Con capsule a bobina mobile o a nastro, la traduzione della pressione sonora in tensione elettrica è ottenuta attraverso induzione elettromagnetica. In maniera simile ad un condensatore, anche in una capsula a bobina mobile è presente un diaframma. L’intero sistema tuttavia è più pesante (più lento, meno accurato) perché attaccato al diaframma c’è una bobina di sottile filo di rame (da cui il nome). Suddetta bobina circonda un magnete fisso: secondo i principi dell’elettromagnetismo e della induzione elettromagnetica, tensione viene indotta sulla bobina quando essa si muove (si ricordi che è solidale al diaframma) ed interferisce nel campo magnetico emanato dal magnete.

Notate che il movimento è la necessaria condizione affinché il voltaggio sia indotto sulla bobina: se non c’è movimento, non c’è segnale in uscita. Ciò che si deve capire qui è che il diaframma non si muove nel momento di massima pressione (o depressione) e pertanto l’uscita del microfono a bobina mobile in quel momento è zero, esattamente quando l’uscita di un microfono a condensatore è massima. D’altro canto la massima uscita è fornita alla più alta velocità di movimento del diaframma, tra due opposti picchi di pressione: esattamente quando non c’è pressione sul diaframma, esattamente quando l’uscita di un microfono a condensatore è zero. In un microfono a bobina mobile il livello del segnale è inversamente proporzionale alla pressione dell’aria: maggiore è la pressione (o la depressione, minore è il segnale in uscita).

I microfoni a nastro funzionano in maniera similare, anch’essi in accordo ai principi dell’elettromagnetismo. Un elemento metallico conduttivo forgiato come un nastro molto sottile è tenuto in tensione, libero di oscillare tra i due poli di un magnete e connesso all’uscita.

Tensione è presente all’uscita quando il nastro, investito dalla pressione sonora, si muove all’interno del campo magnetico e così facendo ottiene tensione indotta su sé stesso. Esattamente come una capsula a bobina mobile (il principio è il medesimo), il movimento del nastro è la condizione necessaria perché sia presente tensione all’uscita: anche con un microfono a nastro il livello in uscita è inversamente proporzionale alla pressione sul diaframma.

OK, categorizziamo i microfoni a dinamici (a bobina mobile) e quelli a nastro come microfoni elettromagnetici. Seguendo quanto detto sopra, tracciamo graficamente le uscite di un condensatore e di un elettromagnetico coinvolti dalla medesima variazione di pressione sonora: otteniamo due forme d’onda che sono sfasate di 90°.

Potete verificare da voi stessi: allestite due microfoni, un condensatore ed un dinamico (oppure uno a nastro) molto vicini tra loro, il più coincidenti possibile, a pochi centimetri da un altoparlante che riproduca una frequenza singola, diciamo 100 Hz. Registrate su due tracce separate le uscite dei microfoni (meglio usare una coppia di preamplificatori uguali). Assumendo che stiate registrando su una D.A.W., usando lo zoom andate a guardare da molto vicino le due forme d’onda: vedrete che l’elettromagnetico precede il condensatore (guardate i picchi): ha rilevato la stessa pressione ma l’ha tradotta “prima”. I due segnali in uscita non sono in fase nonostante i due microfoni siano perfettamente allineati davanti all’altoparlante.

Questo fornisce informazioni molto utili circa le prossime mosse da compiere. Non dimenticate mai che la fase dipende dalla frequenza! L’immagine vi rivela dove posizionare i microfoni in modo da intonarli, cioè ottenere una perfetta fase o una perfetta controfase, ad una frequenza specifica che vogliate esaltare o annullare. Vi dice che se traducono nello stesso modo (entrambi a condensatore o entrambi elettromagnetici), potete posizionarli il più coincidenti possibile. Vi dice anche che se il loro principio di traduzione è diverso, dovreste inizialmente evitare la posizione “più coincidenti possibile” fino a quando avrete fatto maggiore esperienza con la microfonazione intonata. Se per ogni frequenza la traduzione elettromagnetica precede quella capacitiva (del condensatore), il successivo fatto da conoscere è che dovete posizionare il condensatore più vicino alla sorgente, “davanti” all’elettromagnetico, in modo da compensare il ritardo causato dallo sfasamento di 90°. A quale distanza dall’elettromagnetico? Di quanto dovrebbero essere spaziati i microfoni? L’immagine dice un quarto di lunghezza d’onda della frequenza in oggetto, corrispondente ai 90°. Con grande sorpresa durante i miei esperimenti non sono mai stato in grado di posizionare i microfoni esattamente in accordo con l’immagine. Non conosco ancora il motivo, ma sto studiando i vari casi[1]. Pertanto è stato impossibile procedere in maniera non empirica e seguire la regola dei 90°: non ha mai funzionato così precisamente. Comunque il condensatore deve sempre essere posizionato più vicino alla sorgente, ma devo andare a misurare e cercare la posizione relativa dove entrambi i microfoni rilevano un picco di pressione della frequenza voluta. Penso sia una grande risorsa conoscere la teoria che sta dietro a questi fatti, i cui principi di base rimangono confermati. Dirò più avanti di un metodo empirico per trovare la fase perfetta di una frequenza.

In molte applicazioni l’elettromagnetico è preferito in posizione “close”, vicino alla sorgente. Essendo l’uscita del condensatore “in ritardo”, se lo posizionate più lontano l’uscita risulterà ulteriormente in ritardo. La traccia vi dice cosa fare: dovete posizionare il condensatore ad un quarto di lunghezza d’onda dopo l’elettromagnetico, laddove il suo picco negativo corrisponde al picco positivo dell’elettromagnetico.

Quindi invertite la fase di uno dei due segnali (quale dei due dipende dalla loro relazione di fase con gli altri microfoni, qualora ve ne siano). Avete in effetti spostato il condensatore a mezza lunghezza d’onda dalla sua precedente posizione “in fase” e dopo mezza lunghezza d’onda la pressione ha fase invertita. Capito?

E se volete usare due elettromagnetici, un dinamico ed uno a nastro.? Dunque… traducono la pressione dell’aria nello stesso modo quindi non c’è differenza di fase. Posizionate i due il più coincidenti possibile. Oppure posizionateli spaziati di una intera lunghezza d’onda. “Ma… un momento: questo significa 4,25 metri per 80 Hz!!!” potreste ribattere. Ah… avete ragione. Il vostro studio di ripresa è più piccolo? Va bene, posizionate il più lontano microfono a mezza lunghezza d’onda della frequenza voluta e premete il pulsante di inversione sul vostro preamplificatore: a metà lunghezza d’onda la pressione è fuori fase di 180°. Siete a 2,125 metri adesso. Riassumendo le informazioni messe a disposizione dalla traccia: se state cercando la fase perfetta tra microfoni dovete posizionarli secondo lo schema seguente (da leggersi nel verso della propagazione dell’onda da sinistra verso destra):

elettromagnetico > condensatore fase inv. >elettromagnetico fase inv. >condensatore

Prima di tutto decidete a quale frequenza volete intonare i vostri microfoni (che ne dite di una fondamentale?). Quindi scegliete il vostro primo microfono e seguite lo schema. Si può anche ragionare al contrario, cercando una totale cancellazione di fase. Perché no? Potreste riuscire ad addomesticare una certa frequenza fastidiosa. Con un po’ di pratica, scoprirete che il pulsante dell’inversione di fase è piuttosto interessante ed avrà molto più senso usarlo. Trovate la fase perfetta e premete il pulsante: frequenza annullata[2]!

La vostra stanza è più piccola di 4,25 metri? Nessun problema: potete operare in maniera ibrida con facilità se state lavorando con una D.A.W., spostando le tracce lungo la timeline. Oppure la vostra stanza è sufficientemente grande? Seguendo la regola esposta sopra potrebbe portare a set-up non ottimali dal punto di vista sonoro. Diciamo che avete intonato a 80 Hz il vostro microfono dinamico “close” sulla grancassa e il microfono a nastro che state usando davanti al kit. Sono entrambi microfoni elettromagnetici e seguendo la regola esposta sopra avete posizionato il nastro a 2,125 metri con la polarità invertita (velocità del suono divisa per frequenza = lunghezza d’onda: 340/80 = 4,25 metri. Diviso due = 2,125 metri). Gli 80 Hz sono intonati, il sound della grancassa è ottimo ma… “Mmmhhh, il suono del nastro è troppo diffuso; il bilanciamento tra suono diretto e ambiente non è buono in quella posizione”. OK. Lo potete comunque riposizionare dove suona meglio e dopo aver registrato la take buona potete indietreggiare sulla timeline la traccia del nastro nella posizione dove gli 80 Hz sono in fase (dato che il nastro fornisce un suono più globale del set di batteria, piuttosto sposterei in avanti il microfono dinamico “close”: è un movimento talmente minimo che non influirà sul timing della performance.

State usando un elettromagnetico ed un condensatore e li volete coincidenti? Spostate indietro l’elettromagnetico oppure spostate avanti il condensatore.

Le basse frequenze sono le più suscettibili alla degradazione causata dai problemi di fase e questo è il motivo percui la microfonazione intonata migliore considerevolmente la ripresa della regione inferiore dello spettro audio. Segue ora una spiegazione di quello che faccio in alcune situazioni dove sono coinvolte basse frequenze: grancassa, chitarra elettrica, basso elettrico, chitarra baritona. Grancassa: utilizzo un altoparlante woofer da 15” e lo sistemo accuratamente al posto della pelle battente della grancassa (che ho nel frattempo allontanato) in modo tale che sia nella stessa posizione rispetto al microfono dinamico (che solitamente utilizzo). Quindi posiziono la capsula a nastro a circa 1,20/1,40 metri in dipendenza dalle dimensioni del kit di batteria e dall’energia del batterista. Inverto la fase sul preamplificatore del nastro. Mando alternativamente tre frequenze all’altoparlante: 50 Hz, 63 Hz e 80 Hz. Registro su due tracce alcuni secondi di ciascuna e quindi sposto una delle due del numero esatto di campioni che separano i picchi. Come suggerisce l’immagine, il dinamico deve essere anticipato per essere intonato con il nastro alle frequenza suddette: maggiormente a 50 Hz, meno a 63 Hz, ancora meno a 80 Hz (la lunghezza d’onda si accorcia all’aumentare della frequenza). Mi annoto i tre valori. Quando la registrazione è terminata ho le opzioni di intonare con precisione i due suoni di grancassa sulle tre frequenze diverse (o qualsiasi altra frequenza semplicemente spostando su posizioni differenti tra quelle annotate) migliorando notevolmente alle basse frequenze il suono della grancassa stessa nonché quello dell’intero kit.

Sulla base della regola esposta all’inizio, essendo 80 Hz la frequenza esaltata, quella cancellata è tre volte più alta: 240 Hz, di cui su una grancassa ci si sbarazza in ogni caso… giusto? Interessante! Inoltre trovo che sia molto più facile mescolare il microfono close al suono generale ripreso dal microfono a nastro. Adotto un approccio molto simile quando ho a che fare con un amplificatore per chitarra elettrica, che si tratti di un combo oppure di una cassa: mettendo un dinamico close e uno a scelta tra un nastro quasi coincidente o un condensatore più lontano con la fase invertita. Intonarli ad una certa frequenza bassa, oppure alternativamente a più di una), mi consente di esaltare o attenuare quella frequenza in relazione alla situazione specifica (parte, canzone, genere musicale).

Tratto una situazione differente seguendo gli stessi principi di base: il suono di un basso elettrico captato da un microfono dinamico (di solito), di fronte all’altoparlante dell’amplificatore, e da una D.I. box. Mando un tono a 40 Hz alla D.I. box e in serie all’amplificatore tramite l’uscita link della D.I. Anche qui registro alcuni secondi e poi conto il numero di campioni che separano i picchi: in questa situazione è la traccia della D.I. che viene ritardata. Dopo che il/la bassista avrà completato la sua esecuzione, sposterò indietro del numero di campioni contato la traccia della D.I. per ottenere un timbro molto profondo dalla combinazione delle due tracce. E come nel caso della grancassa, miscelare le due è molto più agevole. Solitamente intono il basso elettrico a 40 Hz ma potreste trovare che i migliori risultati per voi sono ottenuti con un frequenza diversa.

Voglio menzionare il fatto che sono disponibili sul mercato un paio di dispositivi analogici che sono semplicemente l’attrezzatura perfetta per queste operazioni. Sono entrambi in grado di modificare la fase del segnale (analogico) in modo continuo: potete inserirli tra il preamplificatore e il registratore, girare la manopola per spostare nel dominio del tempo il segnale del microfono e intonarlo ad un secondo microfono ad una frequenza specifica. Una veloce annotazione finale sull’uso di algoritmi di allineamento (plug-ins). Prima di tutto… non li uso, quindi non posso commentarne l’efficacia. Ho guardato sulla rete Internet alcuni video che mostravano il loro aspetto e funzionamento. I risultati che ho sentito in alcuni casi erano interessanti, in altri casi non lo erano. Ho sentito parlare di una “differenza tra tempo e fase” che a mio avviso non ha alcun senso. E’ sempre difficile per me affidarmi ad un utensile del cui funzionamento non ho piena conoscenza. Credo fermamente che sia compito dell’ingegnere del suono prendersi cura dei problemi di fase e problemi collegati. I casi sono due: o sei un audio engineer oppure non lo sei. E se lo sei, puoi stare certo di riuscire a fare un ottimo lavoro anche senza usare software misterioso. Sicuramente ci vogliono tempo e dedizione. In più, si noti bene che ciò che io chiamo Microfonazione Intonata non è allineamento: potreste allineare i colpi di una grancassa o le note di un basso elettrico ma in questo modo non avreste alcuna informazione e quindi scarso controllo sulla fase delle frequenze contenute in quei segnali. La fase riguarda il tempo e riguarda la frequenza: riguarda il tempo di ogni singola frequenza di un segnale audio. La Microfonazione Intonata riguarda il controllo della fase di ciascuna frequenza (con particolare riguardo alla porzione bassa dello spettro audio).

Spero sinceramente che sarete desiderosi di provare da voi stessi tutto questo per capire che la fase non è affatto un problema… Buon divertimento!

[1] Un numero di fattori sono sotto la lente: il comportamento della pressione mentre il suono si allontana dalla sorgente e cambia la propria natura da onda sferica a onda piana; anche l’acustica degli spazi chiusi e l’impedenza interna dei microfoni sono sotto analisi.

[2] Una frequenza viene completamente cancellata solo quando la sua fase è invertita di 180° e le due sorgenti hanno livello uguale. Diversamente, la cancellazione è solo parziale.

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